Quanto possiamo fidarci dei nostri ricordi

Pensate ad un evento particolarmente emozionante della vostra vita e rievocatene il ricordo.

Lasciate che poco alla volta emerga qualche dettaglio e iniziate a raccontare.

Qualcuno forse ricorderà il periodo dell’anno o addirittura una data precisa, l’abito indossato, la presenza di persone oppure oggetti, parole dette o ascoltate, un contatto fisico, forse una canzone, il caldo, il freddo e così via.

Potrà esserci di più o meno di questo ma è molto probabile che per ogni vostra memoria il dato costante sia la certezza del luogo dove vi trovavate in quel preciso momento.

Alcuni di voi staranno dicendo che sono sicuri anche di tutti gli altri dettagli ma vi do un consiglio: prima di prestare giuramento, verificate. Ammesso che sia possibile farlo!

La memoria è oggetto di studi importanti che ci offrono storie incredibili di persone che non riescono ad apprendere più nulla (conosco, apprendo, non me ne ricordo) e di altre che non possono dimenticare.

Sappiamo che l’area del cervello coinvolta nella creazione del ricordo è l’ippocampo, il quale geolocalizza la nostra posizione mentre esperiamo il contesto.

Alle nostre rimembranze infatti è sempre associato un luogo (informazione di cui pare possiamo essere certi) attorno al quale si sviluppa un racconto descrittivo della situazione.

I neuroscienziati dichiarano che per ogni esperienza della nostra vita resti una traccia la quale può rimanere latente in un punto qualsiasi del sistema nervoso.

Non esiste una zona archivio dei ricordi, perciò può succedere che stimoli casuali provochino l’emersione di eventi vissuti.

Vi è mai capitato di piangere inaspettatamente mentre ricevevate un massaggio?

A volte i ricordi arrivano all’improvviso e, prima di capire perché, siamo sopraffatti dal loro carico emotivo.

Oppure li andiamo a cercare.

Tutti sappiamo che qualsiasi situazione od evento riceve una descrizione diversa da chiunque vi abbia partecipato: dipende dalle caratteristiche percettive e dal risultato dell’elaborazione di ognuno.

Ciò di cui non siamo consapevoli è che la nostra stessa versione cambia: succede ogni volta che rievochiamo l’evento.

La traccia di memoria, quando stimolata, diventa punto di partenza di una narrazione che fa di tutto per apparire coerente e convincente, anche a costo di tradire la realtà dei fatti. Per quanto si possa parlare di realtà nei fatti.

Una modalità incolpevole, poiché naturale ed inconsapevole, di riempire gli spazi vuoti della memoria inserendo elementi veritieri ma estranei alla circostanza (i cosiddetti bias cognitivi).

Gli scienziati hanno voluto cercare testimonianza di questo comportamento, sottoponendo a monitoraggio cerebrale la rievocazione di esperienze passate.

Dopo avere identificato aree e sequenze di connessioni, è stato chiesto di descrivere una situazione non ancora avvenuta, ipoteticamente futura, ed il risultato scientifico ha evidenziato lo stesso identico comportamento.

Siamo in grado di immaginare qualcosa che non è ancora accaduto (che potrebbe anche non verificarsi mai) arricchendolo di particolari, nello stesso modo in cui tendiamo a descrivere un episodio avvenuto completandolo con collegamenti e considerazioni… ipotetiche.

Ciò significa che possiamo permetterci di essere curiosi ed andare con la mente là, dove l’evento accadde, per guidare e lasciarsi guidare dalla nostra intelligenza la quale saprà indagare e farci vivere  (non ri-vivere) le emozioni di quei momenti.

E se la nostra intenzione è possedere un ricordo liberatorio di quella storia, è molto probabile che la nostra mente sceglierà i dettagli adatti a proporre una narrazione sorprendente e consolatoria.

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